Termini inglesi nella lingua italiana

bandiera angloitaliaAvete mai fatto caso a quante parole inglesi infarciscano la comunicazione di tutti i giorni in Italia? Noi sì e abbiamo deciso di cominciare a passare in rassegna questo nuovo bagaglio terminologico che la stampa italiana sta contribuendo a diffondere al punto da far dimenticare gli eventuali equivalenti italiani. Se, infatti, in alcuni casi una nuova parola risponde a un nuovo bisogno lessicale (vale a dire che per esprimere concetti nuovi si cercano parole nuove), in altri casi esistono termini di uso consueto che hanno delle equivalenze in italiano assolutamente perfette (pensiamo a “goal”-“rete”, a “staff”-“personale” o ancora a “boss”-“capo”).

Insomma, quand’è stata l’ultima che avete chiamato “annunciatore” il vostro “speaker” preferito della radio?

La domanda (non questa per essere precisi) nasce nel 1970 con Paolo Monelli che si lamentava dell’“imbastardimento dell’idioma” e si domandava come mai gli italiani non potessero dire “recipiente” invece di “container” o “sistema” invece di “establishment”. Ma a 30 anni di distanza, la tendenza sembra essere sempre la stessa, tant’è vero che “Neologismi quotidiani” – risultato di un’indagine su 33 quotidiani nazionali dal 1998 al 2003 – dimostra che il dizionario italiano avrebbe bisogno di 5.029 parole nuove fra cui 600 prestiti e 135 calchi di origine straniera (la maggior parte dei quali proviene dall’inglese).

Questo fenomeno anglofonizzante ha fatto nascere anche i cosiddetti “falsi amici”; per esempio, sul Devoto-Oli si trova (comprensibilmente) la definizione di “flipper” come “biliardino elettro-automatico”, ma non si dice che per gli anglofoni “flipper” significa “pinna”, mentre il gioco si chiama “pinball”. Oppure “footing”, al posto di “jogging”, “scotch” invece di “sellotape” e “slip” per “Knickers” (donne) e “underpants” (uomini), questo per dirne solo alcuni, ma l’elenco potrebbe continuare con “manager” che – se si intende dire “alto dirigente” – e che dovrebbe invece chiamarsi “executive”.

Molti di questi prestiti e calchi inglesi hanno sostituito precedenti parole straniere (soprattutto francesi) in uso dal secondo dopoguerra: così il necessaire è stato soppiantato dal beauty-case, la roulotte dal caravan, le mannequins dalle top models, il maquillage dal make up, l’affiche dal poster.

Quello che è certo che gli anglicismi sono ben accolti per diverse ragioni: per la stampa, per esempio, rappresentano una grande economia di spazio (soprattutto nei titoli) e una monosemia inequivocabile, visto che, una volta che un termine entra in un sistema linguistico come prestito si “cristallizza” in un’unica accezione; per i giovani, invece, hanno un forte potere di appartenenza; per tutti hanno un grande potere connotativo e denotativo.

Gli ambiti in cui la lingua inglese fa da padrone anche in italiano sono tantissimi, in particolare quei settori che si sono sviluppati più velocemente in area anglosassone per poi diffondersi nel resto del mondo, dalla politica (antiglobal, devolution, intelligence, leader…) all’economia, dal lavoro al commercio, passando per l’informatica, l’intrattenimento, la moda, la musica, lo sport.

E allora vi proponiamo un giochino: stendete un elenco di tutte le parole inglesi che utilizzate più o meno quotidianamente, resterete stupiti di quanto inglese inconsapevole appartiene già al vostro vocabolario

 

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