Un salto in Australia alla scoperta di Uluru

uluruNon potete dire di aver visitato l’Australia se non avete fatto almeno una tappa nell’Outback. La parola in sé indica genericamente le aree interne, più remote e semidesertiche del continente australiano. Ma sono tanti i nomi con cui australiani e non indicano la meravigliosa regione centrale del continente: Red Center, Cuore rosso d’Australia, il Back of Beyond (dietro l’oltre) e il Never never, giusto per dirne solo alcuni.

La particolarità dei luoghi è data dal colore rosso, conferito al terreno dall’alta presenza di ferro, il silenzio, gli spazi aperti che sembrano non finire mai. Tutti da esplorare a bordo di un fuoristrada (riflettendo lo spirito pionieristico con cui è giusto affrontare l’esplorazione della zona, per scoprire l’identità unica dell’Australia), interessanti formazioni rocciose e gole spettacolari. Anche se per i turisti sono stati pensati avvisi e segnaletiche che indicano l’inizio o la fine dell’outback, in realtà questa regione non ha confini precisi, perché è una regione più ideale che geografica.

Certamente l’ultimo avamposto di civiltà prima di perdersi nel magico deserto australiano, dove ancora risuonano i suoni dei canti aborigeni, è la città di Alice Springs.

E’ questa la cittadina da cui conviene partire se si intende raggiungere un altro simbolo dell’Australia, il monte sacro agli aborigeni: Uluru (che in inglese viene chiamato Ayers Rock). Uluru, considerato il cuore spirituale d’Australia, è un imponente massiccio roccioso circondato da una superficie completamente piana (il che lo rende visibile da decine di chilometri di distanza), ma la sua particolarità principale è il fatto di cambiare completamente aspetto e colore a seconda dell’orario (ma anche della stagione) in cui lo si ammira: la sua maestosità si tinge dei colori ocra, oro, bronzo, rosso, viola ( l’alba e il tramonto sono i momenti più fascinosi). Si tratta di una formazione rocciosa monolitica, che sprofonda nel terreno per 7 km circa, è alta 864 metri ha una circonferenza di 9 km.  Di questo monolito in mezzo alle praterie dell’outback, indigeni e non di tutte le epoche hanno pensato di tutto (fra le più recenti: un meteorite conficcato nel terreno?). La mitologia aborigena del dreamtime (o tjukurpa, ossia, l’era del sogno che precede la memoria umana) ne spiega l’esistenza come segno dell’attività di numerose creature ancestrali, giganti in parte umani in parte simili ad animali o piante. Molte di queste leggende, però, non vengono rivelate ai piranypa (non aborigeni) che possono conoscere solo le linee generali del mito.

Eccone alcuni: Tatji, la Lucertola Rossa che abitava nelle pianure giunse a Uluru, lanciò il suo kali (boomerang) che si conficcò nella roccia e per ritrovarlo scavò molti buchi rotondi nella superficie della roccia stessa (il che spiegherebbe i fenomeni di corrosione), ma si narra anche dei fratelli Bellbird che cacciavano un emù. L’emù fuggì verso Uluru dove venne però ucciso e macellato da due uomini lucertola dalla lingua blu che poco dopo negarono ai fratelli bell bird del cibo. Per vendetta questi ultimi diedero fuoco al riparo degli uomini lucertola che tentando di fuggire, scalando le pareti della riccia, scivolarono e arsero vivi (questo mito spiega la presenza di licheni grigi sulla superficie di Uluru, traccia di quell’incendio). Questi e molti altri miti sono rappresentati da numerose pitture rupestri realizzate sulle pareti perimetrali di Uluru.Considerata la valenza religiosa, i turisti che visitano Uluru sono soggetti a diversi livelli di priobizione (non avvicinarsi a determinati luoghi, non scattare fotografie).

Fra questi ci sentiamo di caldeggiare in particolare l’invito a non scalare Uluru e l’ascesa (oltre a essere pericolosa) è considerata un’offesa dal popolo Anangu (cui nel 1985 il governo australiano restituì la proprietà di Uluru).

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